Indice
- Riferimenti alla chiesa romanica scomparsa
- Perchè l’edificio sacro venne demolito?
- Le peculiarità principali dal profilo artistico
- La pala seicentesca
- Molti gli interventi durante il Novecento
- Vetrata e due grandi tele firmate da Fra Roberto Pasotti
- Un organo Mascioni installato nel 1994
- Cinque le campane a partire dal 1927
La chiesa, di vaste dimensioni, si trova leggermente discosta dal vecchio nucleo del paese, su terreno alluvionale piano ed è circondata a nord dal vecchio cimitero, ad ovest dalla nuova parte del cimitero. Sicuramente già nel 1300 esisteva sul posto un edificio adibito a luogo di culto, probabilmente di proporzioni identiche a quello di Cadempino ma di orientamento diverso. Questo è poi stato parzialmente o totalmente demolito nel 1600 per far posto all’attuale.
I muri sono in pietrame, di spessore ben proporzionato e sono provvisti all’interno di intonaco e lesene di stucco, mentre la parte esterna è in rasa pietra, ad eccezione della facciata principale d’entrata, la quale presenta pilastri, lesene e sagomature rinascimentali di semplice fattura.
Il campanile romanico all’angolo est è stato allargato e rialzato, probabilmente per permette a questo di emergere dal complesso, malgrado l’ingrandimento della chiesa.
Il portico è stato costruito nel 1690 mentre l’affresco sopra il portale, raffigurante il Patrono Sant’Andrea, fu realizzato da Antonio Rinaldi nel 1872.
Davanti all’entrata troviamo la cappella della Madonna di Lourdes, nata nel 1698 come ossario per dare dignitosa sepoltura ai resti dei bambini, trasformata poi nel 1924 in una grotta/oratorio.
Sopra il portico, all’ingresso, si trova la vetrata realizzata da Fra Roberto nel 1985, la quale propone attraverso la sua estetica astratta richiamo spirituale, moto e tensione verso l’alto.
L’interno della chiesa, composto da navata coperta di volta, dal presbiterio con nicchia, la cui entrata domina l’altare barocco decapitato dal tronetto nel 1920, allo scopo di permettere l’intera visione del quadro inserito nell’ancona della parete di fondo. Sopra questo spazio, troneggia la cupola provvista di tinteggio figurativo di un certo valore.
Ai due lati della navata, di pianta rettangolare allungata, troviamo le cappelle: quella della Madonna (statua del 1910), e, dal lato opposto, quella dedicata a San Sebastiano (altare del 1706). Queste cappelle hanno ornamenti barocchi di maggior lavorazione e valore dei pilastri e delle lesene della chiesa.
Il pavimento della chiesa è in mosaico alla veneziana.
Il battistero è in pietra, a forma di calice, rozzamente lavorato e con sovrastruttura in legno. Inizialmente situato all’esterno, è stato spostato in chiesa nel 1742. Il dipinto della nicchia retrostante è del 1842. Sono da segnalare i due bellissimi confessionali scolpiti (1692 e 1747), le tele della Via Crucis e le tele dei 12 Apostoli, del Caresana (1701).
La cappella della Madonna è iscritta nel registro cantonale dei monumenti storici, come pure l’ancona e le tele degli Apostoli.
Riferimenti alla chiesa romanica scomparsa
«L’antica chiesa, osserva da parte sua il prevosto don Giovanni Sarinelli, non poteva né doveva salire che intorno al 1100-1200 al più tardi». Scrive che doveva avere una larghezza praticamente identica a quella collaudata nel 1612, con una lunghezza invece un po’ inferiore e un’altezza «molto bassa», la volta dell’altare maggiore (come pure quella dell’altare della Madonna) a crociera, una sola navata, il presbiterio (spazio destinato al clero e per le funzioni) con l’altare addossato al muro e senza coro, il tetto a due falde sorrette da incavallature e travature che si vedevano anche internamente. «La struttura della chiesa, di stile lombardo, come ancora appare dagli archetti del vecchio campanile, conferma validamente la sua remotissima costruzione».
L’edificio visto verso la fine del 1500, invece, non poteva essere gravato di molti anni, però conservava sul fondo della chiesa – vicino alla porta maggiore, sita a mezzogiorno – un’absidina, e anzi è attestato pure che «sulla parete sta l’immagine della Beata Vergine Maria, ma antica e abrasata», cioè consunta. Una circostanza, questa, rilevata per la prima voltaproprio da don Agostino Robertini, che nel medesimo testo sottolinea: «Evidentemente, l’absidina o nicchia era molto antecedente alla chiesa descritta nel 1597; perlomeno è da ritenere facenteparte di una precedente chiesa romanica, scomparsa…».
Perchè l’edificio sacro venne demolito?
Poi, però, ai Lamonesi non serviva più la chiesa che avevano e – per ragioni che non sappiamo – la demolirono, costruendo l’edificio attuale, rovesciandolo verso il mezzodì, costruendo cappelle ed altari, dando modo ai diversi artisti locali di mettere in vista e al servizio della fede popolare le loro capacità e la loro generosità.
Il «battesimo» si ebbe nell’agosto 1612 e la consacrazione avvenne il 7 maggio 1644 da parte di mons. Lazzaro Carafino, vescovo di Como. Si può legittimamente supporre, come asserisce don Sarinelli, che – siccome dal 1607 al 1608 fu parroco di Lamone-Cadempino don Giovanni Tarilli e che dal 1609 al 1615 operò don G. Battista Caresana, ambedue di Cureglia – «dietro suggerimento di detti parroci, la Vicinanza abbia passato l’incarico del disegno della costruenda chiesa e la direzione della stessa all’arch. Caresana Domenico, il quale aveva già dato saggio di molti lavori artistici». In effetti, i Caresana hanno lavorato nella regione, come ad esempio a Comano, a Biogno di Breganzona, ecc. L’insieme del tempio, severo e maestoso, si caratterizza non soltanto per i pregi d’arte, ma soprattuttoper il presbiterio grandissimo, che si presta a cerimonie solenni.
Le peculiarità principali dal profilo artistico
Chiesa orientata ad ovest, a navata unica conclusa dal coro rettangolare affiancata da due cappelle e, a sud, dal campanile. La facciata est – coronata da un frontone triangolare – è stata rifatta nel 1894 su disegno dell’arch. Alessandro Ghezzi; è preceduta da un portico (o pronao) con pilastri d’ordine toscano che risale al periodo 1684-1696, come si desume dalla visita pastorale di mons. Ciceri nel maggio 1684 («sopra la porta d’entrata non vi è il vestibolo…»), mentre esso è accertato nel 1696; sopra il portale è presente un affresco di Antonio Rinaldi di Tremona (1872) che raffigura il santo patrono. Sulle campate della navata e sul coro, volte a botte; presbiterio coperto da una cupola a pennacchi.
Pareti articolate da pilastri d’ordine toscano reggenti un cornicione neoclassico, con dodici tele degli apostoli firmate da Dionisio Caresana (1701) e di S. Domenico ad opera di Giuseppe Antonio Petrini. Da parte sua, il coro è sovrastato da cupola a pennacchi con un dipinto raffigurante l’Assunzione della Vergine ed ornato con figure di Sant’Ambrogio e un Santo vescovo sulle pareti, opere del pittore Damaso Poroli di Ascona (1900). Notevole altare maggiore in stucco, con due coppie di colonne e timpano, firmato sulla trabeazione «Gabriele Cattori di Lamone fece A.D. 1632», cui si devono anche stucchi nelle cappelle laterali, mentre la mensa in marmo di Arzo (metà del sec. XVIII) è stata eseguita su disegno di Giuseppe Caresana (1755-1756).
Nelle cappelle laterali significative opere in stucco sempre di Gabriele Cattori. Nella cappella S. Sebastiano, a sinistra, tela della Madonna con Bambino e i Santi Sebastiano e Rotto (martiri), opera di Michele Antonio Frantino (1825); in quella dedicata alla Madonna è presente un altare con nicchia decorata da cortine in stucco e contenente la pregevole statua in legno della Vergine scolpita da Martino Rossignolo (1695), con incoronazione solenne il 23 maggio 1943 da parte del vescovo mons. Angelo Jelmini.
Il pavimento, in mosaico veneziano, fu eseguito nel 1858.
La pala seicentesca
A proposito sempre dell’altare maggiore, al centro spicca la pala seicentesca raffigurante la Vocazione dei Santi Andrea e Pietro, di cui è autore Salvatore Pozzo (Pozzi), pittore proveniente dall’Italia, ma a due passi dalla frontiera di Gandria, essendo nato a Puria in Valsolda, sul lago di Lugano, nel 1595, e divenuto per la zona tra Ticino e Lombardia occidentale uno dei principali riferimenti della pittura di Camillo Procaccini, di metà Seicento, come testimoniano i suoi numerosi interventi presso le chiese di Lombardia, nel Sottoceneri e Bellinzonese. Il dipinto, che raffigura il patrono Sant’Andrea apostolo con alla destra Gesù e alla sinistra il fratello Simone Pietro, nel 1977 è stato restaurato sotto il padrinato degli addetti ai monumenti storici, ma ne è poi scaturita una polemica, con la miccia accesa da don Agostino Robertini avendo denunciato che “sulla tela compaiono già zone lucide e zone fortemente opache un anno dopo il restauro… Ci si accorse che Sant’Andrea risultava segato in mezzo, come se non l’avessero, a suo tempo, crocifisso a Patrasso (Grecia), ma l’avessero squartato dalla testa fino ai piedi, non si sa dove”. Ma non ci fu verso, da parte degli operatori del restauro di “tentare alcuna medicazione”.
Molti gli interventi durante il Novecento
Innumerevoli i lavori nel Novecento, come il rifacimento del tetto nel 1921, la sistemazione della facciata principale nel 1926 collocando sul pinnacolo la croce in cement’armato, la cappella di S. Sebastiano affrescata nel 1928 dal pittore E. Torriani, l’acquisto ad Ortisei nel 1929 della statua del S. Cuore di Gesù, la posa nel 1937 del pavimento in piastrelle nella cappella di S. Sebastiano come pure in sagrestia e nel coro, il rifacimento completo della facciata nel 1938, ecc.
Tuttavia, le opere più importanti di restauro della chiesa di S. Andrea (oltre che della canonica per renderla più funzionale) si sono concluse nel 1983, dopo il ripristino interno di qualche anno prima con il risanamento della base dei muri per l’eliminazione delle dannose infiltrazioni di umidità. Già nella seconda parte degli anni Settanta, infatti, su progetto degli architetti Luciano Savi di Campestro e Dario Franchini di Lamone, in chiesa si è cercato di dare risposte appropriate alle nuove esigenze liturgiche, provvedendo pure a lavori di risanamento e manutenzione in presenza della vetustà dell’edificio e dell’usura dei tempi.
In questo contesto, è stato posato un nuovo altare, è stata tolta la balaustra tra la navata e il presbiterio, rimosso il pulpito, posato un ambone e modificate le gradinate attorno al vecchio altare, rimossa la cantoria, trovata una collocazione più conveniente per la Via Crucis, restaurati alcuni stucchi, risanati i muri in sagrestia, ecc.
Successivamente, si è proceduto alla sistemazione del campanile rifacendo anche il tetto e riaprendo due archi sul versante della facciata principale, per cui oggigiorno si presenta non soltanto più snello ma anche più conforme alla sua originale impostazione architettonica del 1600.
Per quanto riguarda la facciata principale del tempio sacro sottoposta a lavori di tinteggiatura, essa è stata «liberata» dalle due statue in cemento che occupavano le due nicchie laterali; erano statue collocate negli anni Cinquanta, in cattivo stato ed oltretutto di discutibile inserimento. Opere di ripristino sono pure state fatte al portico di entrata.
Pertanto, sia al campanile sia alla facciata sono stati ridati armonia ed antico splendore, permettendo alla chiesa di presentarsi come monumento di notevole interesse. Nel corso dei lavori, poi, sono venuti alla luce, sull’angolo ovest della facciata, alcuni resti di dipinti antecedenti il 1600, ovvero della chiesa romanica preesistente; questi piccoli reperti, comunque, non si presentavano in modo tale da poterli recuperare dal profilo pittorico, limitandosi a fotografarli come elemento di riferimento a futura memoria.
Per ridare decoro e luminosità all’interno della chiesa sono in corso i lavori di restauro per un intervento di tinteggio e una nuova illuminazione, mentre è stato ristrutturato completamente il tetto principale della chiesa e i tetti laterali delle cappelle e del portico dell’entrata principale. Lavori eseguiti nel 2022-2024. Vedi restauro.
Vetrata e due grandi tele firmate da Fra Roberto Pasotti
In tempi a noi vicini, segnaliamo che nel 1985 – a conclusione di opere di restauro della chiesa – è stata installata una vetrata
di Fra Roberto, donata da Edmondo Franchini che ha voluto ricordare il 30.mo di matrimonio; essa ha sostituito la finestra
sovrastante l’entrata del tempio sacro e «i suoi pregi estetici si fondono armonicamente con le linee architettoniche e i colori
della chiesa, attraverso una serie di linee ascendenti e volumi che ben si intersecano pur nella libertà da costrizioni geometriche,
tali da richiamare lo sviluppo e la configurazione del tempio… Le decorazioni formate da frammenti vitrei colorati, sapientemente inseriti nell’intelaiatura di piombo, raggiungono un notevole effetto
artistico ed ornamentale, in un contesto spiccatamente religioso».
Di questo importante artista religioso che risiedeva nel convento del Bigorio e che da lungo tempo si contraddistingue come
personalità di spicco nel mondo dell’arte sacra, nella primavera 2018 sulle pareti della chiesa sono state collocate due grandi tele, che raffigurano San Nicolao della Flüe e San Francesco d’Assisi. Sono un dono delle famiglie di Attilio (già sindaco del Comune) e della sorella gemella Maria Giovanna Grandi, che – all’indomani
del compimento degli 80 anni – hanno voluto compiere questo generoso gesto quale segno di grande affetto e attaccamento
all’intera comunità. “Fra Roberto ha scelto di sviluppare il tema su
San Francesco, raffigurandolo nell’atto di profonda unione con il Cristo sofferente, nella piena identificazione con Lui al punto di ricevere i segni evidenti di questa sua immedesimazione con le sue sofferenze… In San Nicolao della Flüe il messaggio è quello di trovare, attraverso la solitudine e la preghiera, la quiete della propria coscienza e l’altruismo verso il prossimo… Le tele hanno la capacità di penetrare nelle coscienze, essendo capaci di indurre a riflettere e a commuovere, in cui tutti possono trovare delle risposte agli interrogativi del vivere”.
Un organo Mascioni installato nel 1994
La chiesa parrocchiale di Sant’Andrea, per iniziativa dell’allora parroco don Carlo Quadri, è dotata di un organo a canne
acquistato presso la rinomata ditta Mascioni.
Lo strumento, installato nel 1994, comprende 8 registri (452 canne), una tastiera con 58 note e una pedaliera di 12 note. La scelta ha comportato l’abbandono dell’idea iniziale di un organo a 2 tastiere e 21 registri di notevole possibilità musicale, che avrebbe però comportato un onere finanziario eccessivo, considerata anche l’esigenza di rispettare le direttive delle competenti Commissioni d’arte.
Lo strumento è un organo a canne a trasmissione meccanica, di minore possibilità (organo «positivo»), tuttavia di notevole valore musicale (come ogni organo a canne è peraltro «unico»). Con tali requisiti, come si è potuto ampiamente constatare in questi anni, si ha la possibilità di accompagnare in modo appropriato le funzioni liturgiche e di tenere concerti di musica antica. La spesa è stata ragguardevole, senza però trascurare il contributo del Comune e soprattutto la generosità dimostrata dalla popolazione.
Cinque le campane a partire dal 1927
Anticamente, come scrive don Giovanni Sarinelli nella monografia
Lamone-Cadempino, il campanile di Lamone era molto
basso, di stile romanico e staccato dal corpo della chiesa. Nel
1820 si è voluto innalzarlo di quattro braccia, spendendo
3’445 lire e 10 soldi, ed allargarlo fino al muro della chiesa, per
poi collocarvi il vecchio orologio, per cui «la torre venne deturpata
». Ha un’altezza di 30 metri. Nella visita pastorale di mons. Archinti (novembre 1597) si parla di due campane; nel 1684 mons. Ciceri scrive di una torre campanaria quadrata con guglia e la croce.
Nel corso dei secoli sono stati effettuati diversi lavori di riattazione.
Per restare al secolo scorso, nel 1919-1920 i due Comuni
hanno speso 480 franchi per rifare le scale interne e il pianerottolo inferiormente alle campane. Altri 1’700 franchi sono stati versati all’impresa Franchini e Co. di Lamone nel 1927 per scrostare e rifare l’esterno, compreso il rinnovo del tetto. Nel 1996 si è provveduto a ridipingere il campanile: un lavoro delicato ma pienamente riuscito, ridando il giusto splendore al tempio sacro.
Ditta Bianchi di Varese
per la posa di un concerto
Prima del 1812, osserva sempre il parroco Sarinelli, «le due
campane erano a sbalzo; in quell’anno si decise di metterle a
mezza ruota, spendendo Lire 366 soldi 15 e denari 3. Nel 1819
si rompeva la campana piccola e nel 1821 si risolveva di metterne
una terza, offerta da vari benefattori, ritornando però ancora al sistema a sbalzo; in un’altra Assemblea si approvava invece quello a ruota. Nel 1858 si rompeva la campana grossa, acquistata nel 1621 per scudi 200 d’oro dai due Comuni e con offerte di privati; la si fece rifondere dalla fonderia Comerio di Varese; i due Comuni spesero complessivamente fr. 890,15, ossia fr. 385 per la rifusione e il resto per operazione ai ceppi e riattazione del campanile. La campana grossa rifusa fu benedetta dal parroco Scalabrini, le due piccole da mons. Fraschina di Bosco Luganese».
Nel 1927 lo stesso don Giovanni Sarinelli, con l’autorizzazione
del Consiglio e dell’Assemblea parrocchiali, trattò con la ditta
Bianchi di Varese per la posa di un concerto di 5 campane in
tono di Fa naturale. «Un concerto maggiore non era possibile,
data la strettezza delle celle campanarie, né sarebbe stato prudente indebolirle». Alle tre vecchie ne furono così aggiunte due nuove, del peso rispettivamente di 307 e 215 chili, benedette nell’aprile 1927 da mons. Antognini, canonico della cattedrale di Lugano, e tenute a battesimo da Giacomo Sottocasa e Rosa Colombo, nonché Francesco Ortelli ed Elisa Colombo di Lugano.
La spesa, compresa l’incastellatura completa interamente
costruita in ferro e ghisa, fu di Lire italiane 20’939, con l’aggiunta
di 454 fr. per spese di trasporto, di dogana e di cibaria per gli operai della ditta Bianchi, 50 fr. per verniciatura dei ceppi, 40 fr. per lavori da fabbro e 100 fr. per provvista di corde. Siccome una sottoscrizione aveva fruttato poco, l’onere venne assunto dal parroco.
Caratteristiche tecniche di ciascuna campana
In seguito a questo succedersi di rifusioni ed aggiunte di campane e di ristrutturazioni del loro montaggio, sul campanile di Lamone vi sono quindi cinque campane:
– la campana maggiore (campanone), di nota Mi, fu prodotta da Antonio Maria Comerio a Malnate (Varese) nel 1858 come rifusione della precedente campana maggiore del 1621; riporta iscrizioni in italiano (e non in latino come le altre), tra cui «LE / COMUNITÀ / DI / LAMONE E CADEMPINO / FECERO RIFONDERE L’ANNO 1858»;
– la campana quarta, di nota Fa#, fu prodotta dalla fonderia Bizzozero di Varese nel 1820, rifondendo l’antica campana minore rottasi l’anno precedente; porta l’iscrizione «COMVNITAS
LAMONIS / ET CADEMPINI / . F . F .» («La comunità di Lamone
e Campino la fece fare»);
– la campana terza, di nota Sol#, uscita anch’essa dalla fonderia Bizzozero di Varese, fu aggiunta nel 1821 alle due campane allora esistenti sul campanile ormai ampliato e rialzato;
– le due campane minori, di nota La e Si, furono fuse nel 1927 dalla fonderia Bianchi di Varese (che aveva preso il posto della fonderia Bizzozero dal 1888) e furono aggiunte al concerto di tre campane che esisteva a Lamone dal 1821.
Le cinque campane sono montate con il sistema ambrosiano («a
ruota»). L’incastellatura e i ceppi delle campane (in ghisa con
contrappeso in pietra) sono stati prodotti anch’essi dalla fonderia
Bianchi di Varese in occasione dell’ampliamento del concerto
campanario. Da ormai qualche decennio le campane sono
automatizzate, così come l’orologio.
Quando le campane erano ancora suonate manualmente, per
tutte le principali solennità la messa veniva annunciata dal suono
delle cinque campane a concerto: un gruppo di suonatori manovrava le campane con le corde, portandole nella posizione «in piedi» ed eseguendo precise sequenze di suoni, oggi realizzate dal meccanismo automatico. Per la Madonna del Rosario, il Corpus Domini, Sant’Andrea e Natale, si suonavano delle melodie con le cinque campane, i cui batacchi erano collegati ad una tastiera, oppure si alternava il suono delle tre campane minori a tastiera con le due campane maggiori suonate a concerto («in piedi»). Questa tastiera è ancora presente nel campanile, ma non è più utilizzabile.
Nel 2012 sostituzione dei 5 battacchi.
Dati ripresi da:
Lamone-Cadempino di Don Giovanni Sarinelli, pubblicato nel 1941
Bollettini Parrocchiali di Don Carlo Quadri, parroco di Lamone dagli anni ’60 al 2000 e dal Libro: Lamone le sue radici e l’attualità di Raimondo Locatelli